ANNO 14 n° 119
Peperino&Co
Com'era davvero
la prima Viterbo
>>>> di Andrea Bentivegna <<<<
04/04/2015 - 02:01

di Andrea Bentivegna

VITERBO -  E’ noto che la parola FAVL sia un acronimo dei nomi di quattro castelli, o tetrapoli, e cioè Fanum, Arbunum, Vetulonia e Longula all’unione dei quali si fa risalire la nascita della nostra città.

Pur trattandosi solo di una legenda quattrocentesca, raccontata per la prima volta da un frate domenicano di nome Annio, tuttavia, come avviene sempre, una verità di fondo c’è ed è proprio da questa che si deve trarre spunto se si vuole raccontare l’origine di Viterbo.

Partire da questo periodo, tentando di capire come fosse la città ai primordi, non è solo il modo per raccontare qualcosa che oggi non c’è più ma piuttosto l’opportunità di comprendere come essa sia divenuta quella che oggi conosciamo.

Immaginate una rupe con pareti di roccia scoscese circondata alle pendici da due fiumi e dalla quale si possa dominare tutta la vallata sottostante, un luogo ideale nel quale insediare un borgo, facilmente difendibile e posizionato in un punto strategico. Ebbene questo luogo era l’odierno colle del Duomo che doveva presentarsi così in origine e sul quale, come sappiamo, nacque la città in epoca Longobarda (VIII sec.). Questo sperone di roccia era accessibile solo da un lato, quello orientale, ed è quindi in questa direzione che, nei primi secoli, si espanse Viterbo.

Lo splendido testo di Simonetta Valtieri ''La Genesi Urbana di Viterbo'' illustra con grande attenzione e con dovizia di particolari i processi di accrescimento che hanno, nel corso dei secoli, modificato l’aspetto della città sino a renderla così come siamo abituati ad immaginarla, ebbene, proprio su queste pagine, possiamo leggere come, al volgere del primo millennio la città, non ancora dei papi, dovesse apparire a chi vi giungesse. Ne scaturisce un borgo molto diverso dall’attuale di cui, il Castrum Viterbii, che coincideva con l’odierno colle del Duomo, costituiva al contempo il fulcro, dato che era il luogo più simbolico ed importante, nonché il vertice occidentale in cui l’intero centro abitato sembrava convergere.

Da questo vertice la città si espandeva lungo due direttrici fondamentali una ortogonale all’altra: la prima, con andamento parallelo al fiume Urcionio, si snodava in direzione Nord con un tracciato che, con i dovuti mutamenti, ricalcava già allora quello dell’odierno Corso Italia e che giungeva alla, ormai scomparsa, porta Sonza, che si apriva, all’epoca, nei pressi dell’attuale piazza del Teatro. La seconda direttrice, invece, dal colle del Duomo andava verso est prefigurando la via che, un millennio più tardi, noi avremmo conosciuto come Cardinal La Fontaine, questa era invece parallela ad un secondo corso d’acqua che scorreva lungo l’odierno fosso di Paradosso e che confluiva nell’Urcionio poco fuori porta Faul.

Questo primordiale centro urbano, di forma triangolare, era dunque la prima Viterbo e la sua forma era letteralmente plasmata, come spesso accadeva allora, dall’ambiente naturale costituito da questo imponente sperone di roccia e dai due corsi d’acqua che alle sue pendici scorrevano e di cui oggi è stata smarrita ogni traccia al punto che i fiumi sono stati totalmente cancellati (e coperti) dal tracciato urbano.

Un tale ambiente era ideale per edificare una nuova città dal momento che, proprio la sua struttura fisica, rappresentava una difesa naturale dai nemici. Viterbo era protetta verso ovest dall’impervio sperone di roccia del duomo, a nord e sud da due corsi d’acqua e, di fatto, solo il versante orientale era quindi vulnerabile agli attacchi ed è infatti su questo che si concentrarono i primi sforzi per realizzare una fortificazione ed è così che venne creato il primo tratto di mura cittadine che andava da porta Fiorita a porta Sonza e che, finanziato direttamente dai viterbesi più facoltosi dell’epoca e che misurava ''l’altezza di un passo e d’una canna (oltre due metri) sino alli merli'' [Cronica di Fra’ Francesco d’Andrea].

Questo era dunque l’aspetto della nostra città nel 1095, nei secoli successivi l’accresciuta importanza politico-strategica e la sempre maggiore ricchezza resero possibili gli ampliamenti della splendida cinta muraria che è giunta sino a noi e che, di fatto, ancora sino al secondo dopoguerra delimitava la città dalle campagne circostanti.





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